Proibizionismo e para-proibizionismo sono l’anticamera del gioco illegale gestito dai settori malavitosi. Chi ha una diretta percezione di cosa è avvenuto e avviene nei territori, deve con nettezza rilanciare questo allarme che, certo, non annulla quello relativo ai rischi di “azzardopatia”, ma non può rimanere inascoltato”.

Non sono affermazioni di parte ma quanto dichiarato di recente da Antonio De Donno, Procuratore della Repubblica di Brindisi, presidente del Comitato Scientifico Osservatorio Eurispes su giochi, legalità e patologie durante la presentazione di uno studio sul fenomeno.  Tesi che trova maggior conforto nelle operazioni coordinate di recente dal sostituto procuratore della Repubblica di Reggio Calabria Stefano Musolino e dal procuratore del capoluogo calabrese Nicola Gratteri i quali ben conoscono quale sia il terreno fertile attraverso cui la criminalità organizzata opera mediante l’espansione incontrollata del gioco online illegale.

È opportuno ricordarlo anche a Mons. Delpini, arcivescovo di Milano il quale nei giorni scorsi in una lettera indirizzata ai parroci della diocesi esorta i prelati a farsi carico di problemi come l’azzardo che egli definisce  “la nuova patologia che, insieme ad aggravare l’esposizione debitoria con banche e finanziarie, spesso sfocia nell’usura”.

Le affermazioni di mons. Delpini non possono non sollevare forti perplessità sulla reale consapevolezza del fenomeno soprattutto quando la generalizzazione contribuisce a confondere il gioco pubblico con quello illegale. E soprattutto quando, data la delicatezza dell’argomento, si corre il rischio di accostare consorterie criminali e malavitose con imprenditori e operatori che esercitano attività legali da decenni.

Invero il rapporto Eurispes, correlato allo studio dell’Istituto Superiore della Sanità, restituisce un quadro molto più razionale del problema confermando un principio: la sistematica e progressiva contrazione  del gioco pubblico, e con esso le misure dirette o indirette tese a limitare l’esercizio della libera impresa riconosciuta e controllata dallo Stato, si traduce in un trasferimento delle attività nelle mani delle organizzazioni criminali, favorendo il radicarsi nel tessuto sociale di problematiche a cui lo stesso arcivescovo di Milano fa riferimento nel suo accorato appello. Sulla base dell’allarme sociale lanciato da Mons. Delpini, se il perno della regolamentazione è e resta il “distanziometro” che riduce drasticamente la possibilità di mantenere aperti punti vendita del gioco, quali presidi di legalità, dai luoghi sensibili, alla pari della esorbitante pressione fiscale esercitata dallo Stato nel settore delle apparecchiature da gioco, è evidente come gli auspici del prelato milanese non possono che restare impressi solo sul libro delle buone intenzioni.

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